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Sivric, Antun (1765 - 1830) [1803]: Traduzione latina delle Anacreontiche ... e dei sonetti, versio electronica, Verborum 42047, 5086 versus, ed. Neven Jovanovic [genus: poesis epigramma; poesis versio; paratextus prosaici] [numerus verborum] [sivrich-anacreont.xml]. Si vis in lexico quaerere, verbum elige et clavem 'd' in claviatura preme.
quando ho genio di farlo, ne intendo contrarre l’ obbligo di farlo sempre. Tutta questa scelta sarà divisa in vari libretti; in fine dei quali potrà avere luogo qualche altra mia poesia. Non porteranno il titolo di tomo primo, nè secondo; giacchè intendo, che ciascuno faccia un opuscolo separato. Ma capitando che io dia altre cose in luce , darò sempre un’ indice delle cose antecedentemente stampate col mio nome.
Attualmente presento un certo numero di Sonetti ricavato da alcuni autori, che ne hanno scritto pochi. Porgo pure la traduzione delle Anacreontiche di Vittorelli , le quali tutte hanno dell’ Epigrammatico. Non avrò difficoltà d’ inserire tra i Sonetti, quando si darà l’ occasione , anche i Madrigali, o altro genere di corte composizioni. Ciascun Sonetto avrà il suo titolo , affinché l’attenzione s' impieghi tutta quanta a gustarlo, senza perdere il tempo a indagare di che tratta. Quando tal titolo sia tralasciato dall’ autore, e venga proposto da me, porterà il seguente segno.
8
Cinto le bionde chiome De la materna rosa Su l' alba rugiadosa Venne il fanciullo Amor: E co la dolce bocca Mi disse in aria lieta: Che fai, gentil Poeta, D' Irene lodator? Questa nevosa penna Di cigno innamorato Sul desco fortunato Io lascio in dono a te. Solo conviene a questa Di celebrare Irene: A questa sol conviene D' esprimer la tua fe. Rorifero surgente die mea tecta subivit Parvus amor cinctus tempora pulchra rosis. Blanda voce mihi, vates, qui carmine molli Irenem celebras quid facis, inquit amor? Hanc tibi do pennam cygni exposcentis (1) amicam; Hac sola Irenem te celebrare decet.
8
Vegliai la notte intera Su le nojose piume. Fin che il diurno lume Si fece riveder: E mi levai che il sole Con l' inquieta sferza Guidava a l' ora terza I rapidi destrier. Per doppia febbre ardente Il tuo poeta or langue: Una m' entrò nel sangue, L' altra nel cor m' entrò Tu brameresti estinto Il foco de le vene; Ma l' altro foco, o Irene, Lo brami estinto? Ah no. Insomnis tota vigilavi nocte, molesto Languida nec potui membra levare toro. Conspexi lucem, licuitque recedere lecto, Cum fuit a Phaebo multa peracta via. Febre agitor gemina; quam morbidus intulit aer, Viribus herbarum febris abire potest; Quam produxit amor, non est medicabilis herbis: Posset at, Irene, munere abire tuo. Tollere quam nescis, velles mihi tollere febrim; Tollere quam scires, tollere saeva negas.
10
Io non invidio i fiori Al molle Anacreonte: Si vaga rosa in fronte Esso non ebbe un dì. Questa non è del campo Ignobile fatica. La nostra dolce Amica Di propria man la ordì. Ne gli orti d' Amatunta, Credilo, Irene mia, Natura non avria Saputo far di più. A rosa così bella Cedano l' altre rose, Fuor che le due vezzose, Che ne le guance hai tu. Non Tej vatis flores ego lavdo, nec ipsos Invidus exposco: nam rosa nulla caput Illius ornavit, qua non praestantior haec sit; Hanc non eduxit rustica cura rosam; Sed propriis fecit manibus mea dulcis amica; Nil melius Veneris ferre vireta queunt. Flos tamen hic roseum nescit superare colorem, Lucent, Irene, quo tibi, pulchra, genae.
10
Stamane per vederti, O bella Irene mia, La consueta via Mi piacque a calcar. Io raddopiava il corso A le veloci piante, E il tuo gentil sembiante Sperava contemplar. Ma non ebb' io fortuna Avventurosa e destra: La solita finestra Negommi il tuo splendor. Perchè, vedendo l' ore Al mio cammin prefisse, Perchè non te lo disse Quel cattivel d' Amor? Tramite me solito mea pergere vota jubebant, Dum cupio Irenem mane videre meam. Speravi dulcem procurrens cernere vultum, Cernere nec potui, sors mihi laeva fuit. Spectabam cupidus solito de more fenestram; Nec sese objecit splendida forma mihi. Qua venturus eram, quid non tibi dixerat horam, Tam bene quam poterat scire, dolosus amor? (a)
12
Ecco di Gnido il tempio, Ecco le aurate porte: In così dubbia sorte Non voglio più languir. Tu, che amicizia, e fede Ti vanti di serbarmi, Giura su questi marmi Giura di non mentir. Ma guarda ben che il loco A i giuramenti è sacro; Che questo è il simulacro D' un nume punitor. Guarda che se il tuo core Al labbro non risponde, L' aria, la terra, e l' onde, Vendicheranno Amor. Hic Gnidus, en sacras portas, en aurea templa; Tam dubiae sortis nolo timere vices. Has mihi amicitiam nitidas promittito ad aras, Namque tuam dicis labe carere fidem. Impune hoc nequeunt perjuria laedere templum; Hoc signum scito vindicis esse Deae. Non aer, non unda tibi, non littora parcent, Nunc si voce tua decipiatur amor.
12
I carmi lodatori Fille a richieder viene, Ma i carmi son d' Irene, E Fille non gli avrà. Io posso dare a lei Tenere erbette, e fiori, Ma i carmi lodatori Non posso, e Amor lo sa, Per tutte l' altre Belle Mi tace fra le dita La cetra ammutolita, E nega di cantar: Ma per la bella Irene Tosto risponder s' ode, E mille volte gode Quel nome replicar. Phillida queis celebrem, nequicquam carmina Phillis Postulat; Irenem carmina nostra canunt. Accipiat flores, sive herbas Phillis olentes; Carmina non tradam, sit mihi testis amor. Haud alias celebrat, sed vult haec muta manere, Vel solam Irenem concelebrare chelys. Protinus Irenes laudato nomine plaudit, Jamque silere die, nocte silere negat.
14
Pace: su questo altare Una colomba uccido, Ardo l' incenso, e grido: Pace, cortese Amor. Pace: la bella Irene È sorda al nostro pianto. Cessi deh cessi alquanto L' indebito rigor. Tu mi ponesti a i labbri Il calice dorato, Ma un sorso avvelenato Il primo sorso fu. Ben misero e infelice Io nacqui, se mi tocca Con tanto amaro in bocca Passar la gioventù! Parcito amor; thuris do munera, parcito clemens, Irenem fletus non tetigere mei. Has aras veneror supplex, ferioque columbam; Parce amor; immeritam comprime saevitiem. Aureus ille calix primo me perdidit haustu, Praebuit ignaro quem tua dextra mihi. Quid me vita juvat, cui tam nocet aegra juventus; Os cui tam tristis laedit amarities?
14
La terza notte è questa, Che il sonno, oh Dio! mi lascia, Che da l' interna ambascia Non posso respirar. L' imago di due sguardi Infidi e menzogneri Su i placidi origlieri Mi viene a funestar. So, che pietà verace Sente del mio dolore Chiunque nutre in core Sensi d' umanità: Ma, se pietà non sente La bella e cruda Irene, Che giova a le mie pene Tutta l' altrui pietà? Deficio, vigilem me nox jam tertia cernit; Mordacem curam non levat ulla quies. Fallaces oculi me vestra fatigat imago; Et somnum molli cogit abire toro. Me luget, luctuque meo, paenisque movetur, Robore qui non est durior, et silice. Quid prodest alios nostro maerore moveri, Irenem saevam tangere dum nequeo?
16
Recidasi il tuo nome Da i faggi, e da gli allori. Quegli occhi traditori M' ingannano: lo so. Credevi forse, o Bella, Schernire a lungo un Vate? La lingua de le occhiate Euterpe m' insegnò. Ne le amorose scuole Discepola, e maestra Essa raffina, e addestra I giovani Cantor. Oggi per lei conosco L' arti, e le insidie appieno E veggoti nel seno Che non è mio quel cor. Non lavrus, fagusve tuo me nomine captet; Exosas ferrum cogat abire notas. Me frustra vultu simulato, perfida, mulces; Sperabas vatem fallere posse diu. Callidus ex oculis animum cognoscere possum; Hanc artem Euterpe tradidit ipsa mihi. Quae dictavit amor, didici documenta, poetas Admonet ipsa novos, ipsa magistra docet. Te non esse meam, nequeo nescire, nefanda Jam fravs Euterpes munere tota patet.
16
Dischiusa è la finestra, E il Sol co' raggi lieti Indora le pareti Del sacro camerin. Me lo predisse il core, E il core non inganna: La bella mia tiranna E' risanata al fin. Svanì l' acuta febbre, E il pianto del mio ciglio. Rimosse ogni periglio, E i giusti Dei placò. Volean punir quell' alma Sì barbara e indiscreta; Ma al pianto d' un poeta Resistere chi può? En Phoebus radiis Dominae penetralia lustrat; En splendet multa luce fenestra patens. Mens mea corde metum quamvis agitata fugabat; Plurima praedicit, plurima cernit amans. Ireni parcet morbus mens praescia dixit, En valet; haud illam febris acuta premit. Ipse meis lacrymis placavi sidera; flente Me propulsarunt cuncta pericla Dij. Saevitiem Dominae mulctabant numina; sed vim Non parvam lacrymae vatis amantis habent.
18
Se vedi che germoglia Ne' più silvestri dumi Al foco de' tuoi lumi O rosa, o gelsomin: Se un dolce zeffiretto Ad incontrarsi viene, E gode, o bella Irene, Di sventolarti il crin: Se rinverdisce un' erba Lungo il sentiero, e chiede Al tuo leggiadro piede Un' orma sola in don; Sappi, vezzosa Ninfa, Che per virtù d' Amore Quel zeffiro, quel fiore, E quella erbetta io son. Si rosa, quam cernas, ridens revirescit, et halat; Sit licet hirsutis undique septa rubis; Si zephyrus gaudet ludens occurrere eunti, Et tibi si pulchram vult agitare comam; Si dum prata premis, mox herbam surgere spectas, Formoso tangi si cupit herba pede; Ludenti zephyro similem me vivere, et herbis, Meque rosae similem vivere jussit amor.
18
Lascia, che questo labbro, O Irene mia, lo dica: T' amo, vezzosa Amica, Quanto si possa amar. Vera loqui, sit fas, Irenem diligo; nemo, Dulcis amica, magis diligit ex animo.
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Spesso a narrare intesi, Che il vedovo poeta La tigre immansueta, Ed il leon placò: Maerentem Orpheum saevos flexisse leones, Flexisse et tigres carmine fama refert.
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Da l' invocato sonno Jam valeo, jam membra vigent, solitoque colore,
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Fingi, vezzosa Irene, Formosam Irenes faciem levis asperet ira,
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Ecco ritorna il mese Qui vallem, et collem, camposque virescere cogit,
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Seppi, che al dubbio lume Te scio, lanigeras duxisse in prata bidentes,
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Irene, siedi a l’ombra Di questo ameno faggio, E copriti dal raggio De l’infocato Sol. Ogni agnellino intanto Pascolerà tranquillo La menta ed il serpillo, Di cui verdeggia il suol. Ma leva da la fronte Il cappellin di paglia.... Chi mai, chi mai t’agguaglia In grazia ed in beltà? Gitta il cappel su l’erbe, E lasciati vedere.... Pupille così nere Venere in ciel non ha. Irene, fagi dulces has conside ad umbras, Dum fugere infesto solis ab igne juvat. Interea teneris agni pascentur, et agnae Graminibus , quorum hic copia multa viret. Quem geris e palea, nunc tu depone galerum; Quis tibi se forma praedicet esse parem? Deposito nigros oculos ostende galero; Tam nigros oculos non habet ipsa Venus.
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Lucido vago io mando Vas tibi odorifero repletum mitto liquore
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Ascolta, o infida, un sogno Nox elapsa mihi tulerit quae somnia, dicam!
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Guarda che bianca luna! Guarda che notte azzurra! Un' aura non susurra, Non tremola uno stel. L'usignuoletto solo Va dalla siepe all'orno, E sospirando intorno Chiama la sua fedel. Ella, che il sente appena, Già vien di fronda in fronda, E par che gli risponda: Non piangere: son qui. Che dolci affetti, o Irene, Che gemiti son questi! Ah! mai tu non sapesti rispondermi così! Caeruleos caeli tractus, noctemque serenam Aspice. Quam puro candida luna nitet Lumine! nec frondes ullis agitantur ab avris; Cuncta silent; tantum flet Philomela vocans Conubii sociam, viridi dum sepe relicta Ornum adit. Ut voces audiit illa sui Conjugis, in frondes absenti e fronde propinquas Fida volat: quid fles? dicere visa fuit, En propero: o pulchrum, quem sic testantur, amorem! Quam dulces gemitus mutua flamma parit! En propero, Irene, nunquam vis dicere; amoris Ah mihi das nunquam pignora certa tui.
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Siedi, mi disse Amore, Nuper laetus amor dixit mihi, conside mecum
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Aveva due canestri Praebuit Ireni varios mea dextera flores, Caeruleo plenum flore dedit calathum; Et dedit, albenti, calathum, qui flore nitebat. (12) Quale tuus vertex non habet, alma Venus, Irene sertum componere daedala caepit, Quod fixo cupidus lumine conspiciens, O vere felix tali qui munere , dixi, Dignus erit! ridens illa nihil retulit, Spemque dedit nullam; perfecto denique serto Sertum crine geras hoc, ait, ipse tuo .
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Pur t' afferrai nel collo, O Satyre, arrepto teneo te denique collo; Non rapiet nostris te fuga de manibus . Haec te mulctabit fustis, tibi donec ab armo Prosiliat sanguis. Carpere tene meos Conspexi lauta pendentes vite racemos Ungue fero? Has uvas, o scelerate, scias Ireni placuisse meae, cui tradere dono Has uvas uni me voluisse, scias. Incassum timida purgas te voce; furorem, Quo semel exarsit , ponere nescit amans.
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La vidi (oh che portento! O genus eximium pulchri, mirumque decorem! Glauca chlamys corpus picta tegebat acu. O Venus, hanc spectans ego te spectare videbar: Candidior gemma, vividiorque rosis Illa fuit . Quasdam voces mihi protulìt: ah mens Has nunquam posset non meminisse mea . Sed carui sensu, voces ut protulit, aeger Mox cecidi , nec vim non rapiebat amor. (13) Num dulces fuerint voces, quas protulit, aurae, Dicite, num dulces, dicite, non fuerint? At mea damna nimis timeo; si grata fuissent, Mulcerent animum nunc quoque verba meum.
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Zitto. Que' due labbrucci, Che vagliono un tesoro, Finissimo lavoro De l’ Acidalia man , Veggoli un tratto aprirsi In armonia celeste . Ecco di gioia agreste Ridono i colli e il pian. L’ aura non move fronda; L’erbe si fan più verdi... Oh, Amore , oh quanto perdi A non ferire un cor! Se quella rosea bocca Fosse a i sospiri avvezza, Chi mai con più dolcezza Si lagneria d' amor? Quae propria Venus alma manu formasse videtur E labijs cantus aethereos referens Vox exit; nemo nunc hiscat; gaudia colles, Haec vox dum resonat, prata, nemusque beant. Mobilis avra silet, revirescunt gramina: quid non Premere de pharetra tela, Cupido , libet? Quae mora te cohibet? Feriant tua tela canentem; Quid cessas? Feriant, praemia magna feres. (14) Ducere si roseo suspiria disceret ore, Ducere quam dulci disceret illa sono!
34
I primi fior son questi Del Maggio, che ritorna. Prendili , e te ne adorna , Ninfa gentile , il sen. Io sempre a’ Dei del bosco Gli offriva in Primavera, Ma Irene allor non era L’ idolo di Filen. No, non temer che i Fauni , Privi del dono usato , Con brutto ceffo irato Ti facciano terror. Io so che il bosco è pieno D’ insidiosi Numi; Ma So che ne' tuoi lumi Abita un Dio maggior. Hos flores majus primos mihi protulit; his tu Cinge tibi pulchras, nympha venusta, comas. Numinibus nemoris flores donare solebam Vere novo; sumat, quae mea Diva nova est, Hoc donum Irene. Quibus annua dona negavi, Non cibi Faunorum turba proterva metum Iniiciat. Tu sperne minas, informiaque ora, Intuitusque feros. Numina multa nemus Insidiosa tegit: divi sed gratia vultus Ostendit, numen majus inesse tibi.
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Non t' accostare a l' Urna, Che l' ossa mie rinserra, Questa pietosa terra E' sacra al mio dolor. Odio gli affani tuoi: Ricuso i tuoi giacinti. Che giovano a gli estinti Due lagrime, o due fior? Empia! Dovevi allora Porger mi un fil d’ aita Quando traea la vita In braccio de i sospir. A che d’ inutil pianto assordi la foresta? Rispetta un’ Ombra mesta E lasciala dormir. Haec pia terra, meum te non stimulare dolorem, Terra tegens gelidi corporis ossa jubet. Huc nunquam accedas . Hyacinthos ipse recuso, Quos mihi fers, lacrymas ipse recuso tuas. Non flore, aut lacrymis exanguia membra juvantur; Quid modico tumulum spargere flore cupis? Quid paucis opus est lacrymis? Dum flere videbas, Impia, me vivum, debueras aliquam Tradere opem vivo; mutos requiescere manes In tumulo liceat; sollicitare meos Fas cineres, fas haec turbare silentia non est: Sylva silens somnos det mihi posse sequi.
20
Il cagnolin vezzoso Formosam catulus liquit formosus amicam;
20
O Platano felice, O felix, quotquot conspexi surgere in auras,
20
Tacete, o versi miei, Carmina conticeant, nil carmina posse, fatemur;
20
A Dori, che prende le acque di Recoaro. Canzonetta.
21
Or che le medich' acque Nunc medica Doris lympha recreatur. Amores
20
A Dori, che prendendo le acque andò al passeggio, e fu sorpresa dal vento. Canzonetta.
21
Dunque Costei non bada Sic medico jussu neglecto deseris aedem,
44
A Dori risanata dopo le acque. Canzonetta.
45
Su l' ara d' Esculapio Nunc gemina Phoebi donetur turture natus:
46
A Nice in villa, perchè si renda alla Città. Canzonetta
47
Bianchieggia il piano, e il monte Albescunt montes, albescunt prata pruinis;
SCELTA DEI SONETTI.
Sivric, Antun (1765 - 1830) [1803]: Traduzione latina delle Anacreontiche ... e dei sonetti, versio electronica, Verborum 42047, 5086 versus, ed. Neven Jovanovic [genus: poesis epigramma; poesis versio; paratextus prosaici] [numerus verborum] [sivrich-anacreont.xml]. |
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